Quella agli acari della polvere è una delle forme allergiche più diffuse nei paesi occidentali. Tali allergeni sono infatti tra i più comuni e sono responsabile di circa il 20% di tutte le allergie respiratorie in Europa, con un impatto negativo sulla qualità della vita delle persone che ne soffrono. L’allergia agli acari è tendenzialmente più grave in termini di conseguenze sulla qualità della vita dei pazienti a causa dell’esposizione cronica, cioè durante tutto l’anno, a differenza delle allergie stagionali ai pollini
Essendo spesso confusa con un semplice raffreddore, come dimostrano alcuni recenti sondaggi svolti in Italia, Francia, Germania e Spagna la consapevolezza di questo problema e della sua correlazione con l’esposizione agli acari è relativamente bassa.
Soltanto il 15% delle persone realmente allergiche agli acari ha dimostrato di averne consapevolezza dopo approfondimenti da parte di uno specialista. Questo dato suggerisce una bassa percentuale di diagnosi perché i sintomi, benché fastidiosi e con un impatto negativo sullo stato di salute generale, sono per lo più sottovalutati, non ricondotti agli acari ma alla polvere in generale e confusi con quelli delle allergie ai pollini.
Chi colpisce
I soggetti che sviluppano maggiormente questa allergia sono i bambini, poiché proprio durante le prime fasi della vita è più elevata la probabilità di esporsi, nelle abitazioni, ad elevate dose dell’allergene.
Un alto rischio di sviluppare tale disturbo si riscontra anche nella fascia di età compresa tra la pubertà e l’adolescenza (tra i 10 e i 15 anni) in concomitanza con la frequentazione di luoghi affollati e spesso polverosi come scuole, palestre e spogliatoi.
Il sospetto che si possa trattare di allergia agli acari e non ad altri allergeni, quali ad esempio i pollini o il pelo degli animali può nascere considerando che i sintomi si manifestano tutto l’anno e non solo in concomitanza di particolari periodi di fioritura, o non solo in presenza e a contatto con animali. Inoltre, i disturbi tipicamente si accentuano in contesti molto polverosi e scompaiono in determinate condizioni come, ad esempio in montagna, dato che l’alta quota (oltre i 1500 metri sul livello del mare) non consente la vita degli acari.
La diagnosi
L’allergia è confermata attraverso test cutanei (prick test) o un esame del sangue (RAST).
Il prick test prevede l’applicazione di gocce contenenti estratti purificati di allergene nella parte interna dell’avambraccio e la successiva “pizzicata” della pelle (“prick” in inglese) per portare a contatto l’allergene con le cellule del sistema immunitario innato (mastociti) che rispondono a questo attraverso gli anticorpi di tipo IgE. Nei soggetti allergici, in 10-15 minuti nel punto specifico di applicazione dell’allergene compare un pomfo, ovvero una vescichetta simile a una puntura di zanzara, pruriginosa e per lo più circondata da una zona di arrossamento (eritema) di cui si misura il diametro in millimetri.
Il RAST test invece misura nel sangue gli anticorpi di tipo IgE specifici per gli allergeni sospetti, ovvero in grado di legare questi allergeni.
Il RAST è un test più preciso e riproducibile in termini quantitativi rispetto al prick test, che può variare ad esempio nelle diverse stagioni dell’anno e in un braccio rispetto all’altro. Inoltre, nei pazienti con positività multiple, il prick test spesso non riesce a rispondere alla domanda: quali sono le mie allergie principali?
Nei casi particolari in cui i sintomi non sembrano rispondere ai trattamenti anti-acari e alle terapie farmacologiche specifiche, la conferma diagnostica può essere ottenuta mediante test di provocazione, ad esempio facendo inalare una soluzione contenente quantità crescenti di allergene (test di provocazione nasale). Tuttavia si tratta di un test alla portata di pochi centri specializzati, per la difficoltà di interpretare i risultati e per la possibilità di dovere gestire reazioni avverse.
Perché si sviluppa
I fattori scatenanti l’allergia agli acari sono proteine dette allergeni, tra le quali principalmente proteine associate alle feci di questi animali. Altre possibili fonti di sostanze allergeniche includono enzimi associati al processo della muta (evoluzione da una fase dello sviluppo a quella successiva, con aumento relativo delle dimensioni) o altre componenti. Nei soggetti non allergici queste sostanze sono riconosciute come innocue dal sistema immune e non causano alcun problema.
Nelle persone allergiche, la risposta agli allergeni degli acari è mediata dalle immunoglobuline di E (IgE), prodotte quando il soggetto geneticamente predisposto entra in contatto con l’allergene, e si sviluppa in due fasi distinte, come per qualunque altro risposta immunitaria (ad esempio quella alle malattie infettive, o a un vaccino). Nella prima fase (priming) si producono anticorpi non IgE, e non si osservano conseguenze. Nella seconda fase (risposta memoria) si sviluppano vari tipi di anticorpi, tra cui le IgE, che causano sintomi di variabile gravità nei pazienti allergici.
Va ricordato che la semplice presenza di IgE, detta “sensibilizzazione”, non implica di per sé la comparsa di disturbi rilevabili dal paziente. Si parla di allergia quando la sensibilizzazione si associa a sintomi riportati dal paziente o a segni oggettivi verificati dal medico in presenza dell’allergene. L’associazione “esposizione alla polvere domestica – presenza dei sintomi o segni” è indispensabile alla diagnosi di rinite e congiuntivite allergica e per questa ragione nessun esame del sangue, da solo, consente di fare diagnosi di allergia.
In soggetti predisposti, oltre alla rinite allergica si manifesta anche l’asma. Circa la metà dei soggetti con rinite allergica da acaro soffre anche di asma, a vari livelli di gravità, quando esposti a questa fonte di allergeni. Anche in questo caso, per la diagnosi di asma è necessario che questa sia riscontrata dal medico, o documentata con un esame del respiro (spirometria)
Reference
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